L’Aglianico è il vitigno a bacca nera più diffuso nel Sannio Beneventano. Identifica perfettamente la vitivinicoltura sannita, essendo da secoli coltivato nelle aree a maggiore vocazione della provincia, dove si è adattato in maniera perfetta ai diversi ambienti collinari.
La coltivazione secolare del vitigno ha selezionato l’Aglianico biotipo Amaro, da cui si ottengono alcuni dei vini sanniti più affermati e prestigiosi, primo fra tutti l’Aglianico del Taburno D.O.C.G. nelle tipologie rosso, rosato (l’unico rosato a D.O.C.G. italiano) e riserva, prodotto in 13 comuni sanniti.
Ma oltre all’areale del Taburno, l'Aglianico rappresenta il vitigno principe di alcune produzioni enologiche di notevole pregio, come il Sannio D.O.C. e nelle sottozone Sant'Agata dei Goti, Solopaca e Guardiolo.
Vitigno robusto, di discreta fertilità delle gemme e abbondante produzione. Si adatta bene all'allevamento a spalliera ed ai diversi portinnesti. Può presentare casi di acinellatura verde del grappolo, mentre ha una buona resistenza alla Botrytis, meno all'oidio. I livelli zuccherino ed acidico del mosto alla vendemmia, che avviene tra la prima e la terza decade di ottobre sono abbastanza elevati.
Il profilo sensoriale del vino da uve Aglianico, presenta un colore rosso rubino intenso e vivace, che tende al granato con l’invecchiamento. Il profumo è fine, complesso con note fruttate di mora, prugna, note floreali di violetta, note speziate di liquirizia, chiodi di garofano e pepe nero. Al gusto è secco, tannico e di buona struttura e persistenza. È un vino importante, che si accompagna a pietanze strutturate, a carni rosse e formaggi stagionati non piccanti, ma è anche un ottimo vino da meditazione.
Aglianico nella storia a cura del Prof.Riccardo Valli
Quando nell’800, dopo il periodo di silenzio seguito alle descrizioni cinquecentesche del Lancerio e del Bacci, si riprende a parlare di Aglianico, gli ampelografi che se ne occupano (principalmente Nicola Columella Onorati (1806)[1] e Michele Carlucci redattore della voce Aglianico contenuta nella monumentale Ampelographie di Viala-Vermorel[2]), indulgendo alla moda dell’epoca, cercano di trovare continuità fra i vitigni dell’antichità classica e quelli moderni. Di conseguenza anche l’Aglianico, come ha rilevato[3] G. Guadagno, è rimasto vittima delle “fantasie classiche” in campo vitivinicolo “grazie alle elucubrazioni di dotti o pseudo tali dei secoli passati, ripetute in seguito pedissequamente senza alcun criterio da persone, magari altamente qualificate in altri settori, ma che poco o niente avevano a che fare colla Storia o colla problematica dell’approccio e dell’analisi delle fonti”.
Sia Columella Onorati che Carlucci, infatti, partendo da un’affermazione di G. B. Della Porta[4] che identifica con le helvolae, di cui parla Plinio il Vecchio[5], “le nostre ellaniche” concludono che il vitigno dell’uva “aglianica” sia stato introdotto dagli Euboici fondatori di Cuma; la denominazione deriverebbe da una corruzione di Hellenico, passato a Hellenica e quindi ad Aglianico .
E’ vero che agli ampelografi non si richiedono conoscenze in campo glottologico, ma sarebbe bastato che qualcuno di loro sfogliasse un bel Calepino per verificare il disinvolto falso operato dal Della Porta: in latino, infatti, un aggettivo hellenicus semplicemente non esiste in quanto i latini per designare l’appartenenza alla Grecia di uomini e cose dicevano graecus. Sul piano glottologico,poi, non trova alcuna spiegazione la mutazione in a delle due e presenti nell’ipotizzato aggettivo hellenicus ( e caso mai hellenicum, visto che in latino vinum è neutro...).
Né è ipotizzabile che la voce sia passata nel dialetto campano direttamente dal greco, in quanto ?λληνικ?ς è voce molto specialistica come si può verificare consultando il Thesaurus graecae linguae dello Stephanus: prevalentente, infatti, è usata o per distinguere i vocaboli comuni a tutti i Greci da quelli propriamente attici; o al neutro plurale per indicare la storia greca; o per designare la cultura letteraria greca. Non c’è, insomma, un solo Autore antico che la connetta ad ?μπελος che significa vite. Per completezza, aggiungiamo che in latino esiste un aggettivo helladicus[6], usato da Plinio il Vecchio ( N.H. XXXV. 36) per designare un genere di pittura.
Ora, si consideri che di vitigni e vini definiti greci è piena la letteratura, mentre di vini ellenici si parla solo a proposito dell’Aglianico: sarebbe ora che ci si spiegasse scientificamente, cioè con il supporto della glottologia, da dove vien fuori l’aggettivo ellenico, che non è mai esistito da nessuna parte se non nelle fantasie classiche di cui si è detto prima, e perchè mai tale forma è stata impiegata solo per l’Aglianico.
In verità, lo stesso Carlucci, di fronte alle difficoltà fonetiche del passaggio “ellenica/glianica”, aveva ipotizzato un apporto della lingua spagnola “perchè in Spagnolo la doppia l (ll) si pronuncia come la “gli” degli italiani”, sicché la forma glianica deriverebbe dallo spagnolo llano cioè “il piano, la pianura”[7]. Con buone probabilità, quindi, l’Aglianico, che non doveva godere di grande considerazione presso gli intenditori (prova ne siano i giudizi espressi da Lancerio e da Bacci), dovrebbe essere una delle viti “latine” la cui coltivazione era praticata non solo nelle aree pianeggianti, ma praticamente dappertutto in Campania. Il suo successo deve essere attribuito sia alla capacità di adattamento del vitigno alla coltura promiscua, sia alla serbevolezza del vino, elemento questo non di secondaria importanza.
[1] Citato da M. Manzo, L’Aglianico nella storia, in Colori,odori ed enologa dell’Aglianico (a cura L. Moio), Regione Campania, Napoli 2004, p. 17; l’Onorati saluta “la glianica, detta anticamente ellanica o ellenica, venuta forse dall’Eubea,(...), che è di colore nero” che è finalmente diventata una delle principali uve da vino.
[3] Cfr G. Guadagno Produzione vinicola Falerna e campana fra antichità ed età di mezzo in Rivista storica del Sannio, a.III, I sem. 1996 pp.59/60.
[4] Cfr G. B. Della Porta Villae libri XII ( cit.), VII 5 p. 501:”Ergo nostras hellanicas helvolas antiquorum dicerem.”
[5] Cfr Naturalis historia, XIV 29.
[6] Cfr Forcellini, Totius latinitatis lexicon e Lewis-Short A Latin Dictionary s.v.
[7] La discussione e le citazioni relative in G. Guadagno, Produzione ecc.(cit.), specie le note 77e 79, pp. 60-61.